Basilica

 

Vittore, martire di Cristo, è una gloria fulgida della santa Chiesa milanese. Nato nell'Africa, in Mauritania, si arruolò nelle milizie romane e prestò servizio a Milano.

Nell'anno 303, durante la persecuzione di Massimiano, Vittore con altri due soldati, Nabore e Felice, abbandonò la vita militare per non esporsi temerariamente al martirio.

Arrestato e condotto in tribunale, non tradì la sua fede e fu condannato alla pena capitale. La sentenza non venne eseguita nella città di Milano. Il martire, con Nabore e Felice, fu portato a Lodi, dove fu decapitato.

Cessata la persecuzione, le spoglie mortali furono trionfalmente riportate a Milano e deposte in un nobile sepolcro. Tanta fu la devozione della nostra Chiesa a questo martire che fin dall'antichità numerosi e importanti templi furono edificati in suo onore.

Primo e qualificato testimone della devozione a San Vittore è il nostro padre Ambrogio, che lo ha celebrato nei suoi inni e volle deporre accanto al sepolcro del martire il corpo del suo amatissimo fratello Satiro.
"Tratto dalla Liturgia Ambrosiana delle Ore III Volume" Preghiera a San Vittore Martire "Per il Natale di Vittore, Nabore e Felice, martiri milanesi" di S. Ambrogio Vittore Nabore Felice, pii martiri di Milano, ospiti nel nostro suolo, Mauri di stirpe e nella nostra patria stranieri. Li donò la sabbia torrida, arsa dalle vampe del sole, estremo confine della terra esilio per il nostro nome. Il Po li accolse ospiti In cambio di tanto sangue, la fede della madre Chiesa li colmò dello Spirito Santo; e s'incoronò con il santo sangue dei tre martiri, strappatili alle armi infedeli in Cristo li fece soldati. Giovò la fatica alla fede, seppero che sono armi da guerra al re la vita offrire e per il Cristo patire. Non cercano frecce di ferro, né armi i soldati di Cristo, chi vera fede possiede va armato di tutte le armi. Per l'uomo la fede è uno scudo E morte il trionfo: questo Ci invidia il tiranno che a Lodi I martiri volle mandare. Ma trascinati dalle quadrighe, resero quali ostie i corpi, come carro trionfale ricondotti sotto gli occhi dei principi.
La Basilica di San Vittore costituisce con la torre campanaria ed il Battistero di San Giovanni il cuore religioso di Varese. L'attuale edificio è frutto di interventi diversi avvenuti in tre momenti successivi: dapprima il profondo presbiterio realizzato nella prima metà derl XVI sec., poi l'aula a tre navate, che sostituì la precedente chiesa, forse romanica, coronata dallo splendido tiburio, opera di Giuseppe Bernasconi, edificata tra il 1589 ed il 1625 e, infine, la neoclassica facciata costruita tra il 1788 e il 1791 su disegno di Leopoldo Pollack.

All'interno, lo sguardo è attratto dal presbiterio su cui si innesta l'abside poligonale, il cui impianto di matrice bramantesca, venne alterato dagli interventi effettuati a partire dalla seconda metà del sec. XVII; nel 1675 l'intagliatore di Velate Bernardino Castelli pose in opera i due pulpiti, nello stesso anno Giovanni Ghisolfi affrescava la volta con la Gloria di San Vittore; tra il 1679 e il 1690, lo stesso Castelli realizzò le due casse d'organo e le cantorie, nel 1692, poi, Salvatore Bianchi realizzò i tre grandi affreschi del coro con scene del martirio del santo titolare.

L'altare, esempio notevole del barocchetto lombardo, venne progettato dall'architetto milanese Bartolomeo Bolla, e realizzato dagli scultori viggiutesi Buzzi tra il 1734 e il 1742; Elia Vincenzo Buzzi scolpì le statue, su disegno di Pierantonio Magatti.

Il nuovo assetto del presbiterio, secondo le norme del Concilio Vaticano II, ha avuto defiinitiva sistemazione nel 1991 con la realizzazione dell'altare, dell'ambone, della sede, della croce astile offerti in memoria di Paolo VI e realizzati su disegno di Floriano Bodini.

Sul'arco trionfale, che si apre sul presbiterio, è stato collocato il grande Crocefisso (1712), sostenuto da un volo di angeli, capolavoro del Castelli.

L'aula, a tre navate, custodisce nelle cappelle laterali alcuni capolavori del Seicento lombardo: varcate le eleganti bussole in legno di G.B. Crugnola (1750) , si incontra nella navata di sinistra la Cappella della Maddalena con la pala d'altare della Santa portata in cielo dagli angeli, la predella con l'Apparizione di Cristo alla Maddalena e la cimasa con l'Eterno Padre, opere di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone (1611); sulla parete sinistra è collocata una piccola edicola (sec. XVII-XVIII) con una tela raffigurante Gesù Bambino tra i santi Gaetano di Thiene e Pasquale Baylon e a destra un piccolo altare con la tela detta Madonna delle Grazie, oggetto di grande devozione popolare.

I quadroni collocati sopra i confessionali (posti in opera nel 1833 in sostituzione di quelli intagliati dal Castelli) sono attribuiti a pittori del XVII sec. e provengono dal mercato antiquario milanese dei primi decenni dell'Ottocento.

Segue la Cappella di santa Caterina d'Alessandria con la tela raffigurante il Martirio della Santa di Giovanni Battista Ronchelli (1770), mentre la predella (Nozze mistiche di S.Caterina) e la cimasa (Trasporto del corpo della Santa) vennero dipinte da Antonio Mondino (allievo del Morazzone), cui si doveva anche l'originaria pala d'altare poi perduta.

Segue, nel transetto, la Cappella del Rosario, ove, in due riprese (1598-99 e 1615-17), il Morazzone affrescò dapprima la volta e la tazza absidale con l'Incoronazione della Vergine ed angeli musicanti, poi le pareti con la Presentazione al Tempio e lo Sposalizio; allo stesso Morazzone si devono i quindici tondi realizzati su rame con i misteri del Rosario (il recente restauro ne ha riportato alla luce la vivida cromia originari) che fanno corona ad una Madonna del XV sec.; la cimasa dell'altare raffigurante la Vergine che dona il Rosario a San Domenico è opera del Magatti (1725). Di notevole interesse è il palliotto ligneo dell'altare raffigurante la Battaglia di Lepanto, intagliato da B.Castelli nel 1702.

Di fronte si trova la Cappella di S. Marta con un notevole altare marmoreo, contenente la Deposizione di Cristo nel sepolcro, copia coeva dell'opera di Simone Peterzano in S.Fedele a Milanno; gli affreschi, realizzati da Pietro del Sole e Federico Bianchi (1680-82), raffigurano le Storie di Marta e Maria. In un'urna sono conservate le reliquie di sant'Urbica, provenienti dalla soppressa chiesa dell'Annunciata; il Crocefisso, di intensa drammaticità, è opera contemporanea di Vittorio Tavernari.

Nella navata di destra segue la Cappella dell'Addolorata che prende il nome dal gruppo ligneo, scolpito intorno alla metà del XVI sec. e qui collocato dopo la miracolosa apparizione di tre stelle il 30 maggio 1678; da allora il simulacro è oggetto di grande venerazione in tutto l'alto Varesotto. L'altare marmoreo ottocentesco e gli affreschi di Luigi Morgari (1923) hanno sostituito la decorazione settecentesca di cui rimane solo il Dio Padre in gloria sulla volta, opera del Magatti (1727).

Si passa quindi alla Cappella di San Gregorio, ove in un sobrio altare marmoreo è posta la Messa di san Gregorio, dipinta da Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, tra il 1615 e il 1617: la tela costituisce uno dei punti più alti della pittura milanese nell'età dei Borromeo. Sotto la mensa dell'altare si conserva la statua del Cristo morto che dal 1699 al 1834 fu utilizzata per la processione dell'Entierro (la sepoltura di Cristo) il Venerdì Santo.

La volta della navata centrale, ricoperta da pesanti stucchi di L. Pogliaghi (1929), reca tre affreschi, opera di G.B. Zari (1846), cui si devono anche i quattro Profeti Maggiori sui pennacchi e gli Apostoli ed Evangelisti della cupola.

La possente torre campanaria, alta quasi 77 metri, venne realizzata, su disegno del Bernasconi, a partire dal 1617 sino al 1634, quando i lavori si interruppero, per essere ripresi nel 1677, sino ad arrivare al cupolino compiuto nel 1774.

Di fianco alla Basilica la Torre Campanaria, detta anche “del Bernascone”, che si alza maestosamente di fianco alla Basilica di San Vittore. Con i suoi quasi ottanta metri di altezza, e la base quadrata di metri 10,85 per lato, la Torre è un notevole monumento architettonico, testimonianza esemplare del tardo manierismo imposto nella diocesi milanese dai Borromei.

I lavori di costruzione cominciarono nel 1617 e - dopo una lunga sosta - ripresero nel 1688, su disegno dell'architetto Giuseppe Bernasconi, e procedettero fino alla base dell'aguglia Nel 1773, il campanile fu ultimato, con l’innalzamento dell'aguglia, su disegno dei pittori Giulio e Giuseppe Baroffio, che vollero riformare questa parte, portandola a maggiore altezza di quella del primitivo disegno del Bernasconi.

Nel campanile si sale per una scala di pietra, che ha 230 gradini, e reca allo spazioso piano delle campane, che sono otto: il campanone ha un diametro di 178 centimetri e venne fusa nel 1825 nella officina Bizzozero. Per una scala a chiocciola si ascende alla sala che vi sta sopra; da qui si esce sul largo terrazzo, che offre un panorama stupendo e variegato. Il Iato esterno del Campanile verso il sud, conserva le tracce di molte palle di cannone: sono quelle fatte sparar dal generale austriaco Urban, nel 1859, per “punire” la Torre di aver suonato a festa i suoi bronzi, quando in Varese entravano, vittoriosi e liberatori, i Garibaldini.
Di fianco alla Basilica la Torre Campanaria, detta anche “del Bernascone”, che si alza maestosamente di fianco alla Basilica di San Vittore. Con i suoi quasi ottanta metri di altezza, e la base quadrata di metri 10,85 per lato, la Torre è un notevole monumento architettonico, testimonianza esemplare del tardo manierismo imposto nella diocesi milanese dai Borromei.

I lavori di costruzione cominciarono nel 1617 e - dopo una lunga sosta - ripresero nel 1688, su disegno dell'architetto Giuseppe Bernasconi, e procedettero fino alla base della guglia Nel 1773, il campanile fu ultimato, con l’innalzamento della guglia, su disegno dei pittori Giulio e Giuseppe Baroffio, che vollero riformare questa parte, portandola a maggiore altezza di quella del primitivo disegno del Bernasconi.

Nel campanile si sale per una scala di pietra, che ha 230 gradini, e reca allo spazioso piano delle campane, che sono otto: il campanone ha un diametro di 178 centimetri e venne fusa nel 1825 nella officina Bizzozero. Per una scala a chiocciola si ascende alla sala che vi sta sopra; da qui si esce sul largo terrazzo, che offre un panorama stupendo e variegato. Il Iato esterno del Campanile verso il sud, conserva le tracce di molte palle di cannone: sono quelle fatte sparar dal generale austriaco Urban, nel 1859, per “punire” la Torre di aver suonato a festa i suoi bronzi, quando in Varese entravano, vittoriosi e liberatori, i Garibaldini.
La Chiesa di San Giuseppe nasce come oratorio della confraternita della Beata Concezione e del Gonfalone nel 1504, in una piccola piazza della contrada di Pozzovaghetto, allora sui confini del nucleo cittadino.
Assai diverso doveva essere a quel tempo il panorama del caseggiato, in cui la chiesa - malgrado le dimensioni ridotte - si innalzava al di sopra di case basse e irregolari, mentre ora si presenta quasi soffocata dagli edifici che le sono stati costruiti accanto.
La "Fabbrica di San Giuseppe" ebbe tempi lunghi (nel 1609 si terminò il campanile e tra il 1611 e il 1617 vennero posati gli stalli del coro, l'iconostasi in legno e l'altare), anche perché nel 1589 si decise un ampliamento dell'edificio che assunse le dimensioni attuali. La facciata, realizzata già nel 1593, fu rifatta nel 1725 su disegno del varesino Giovanni Antonio Speroni nelle forme di un barocco sobrio e armonioso ed è stata restaurata nel 2003: dopo attente indagini stratigrafiche sull'intonaco e sul colore volte ad accertare la condizione conservativa e compositiva dell'impianto decorativo, si è scelto un intervento a carattere puramente conservativo rispettoso dello stato di fatto (si è infatti riscontrato un pesante e in alcuni casi radicale rimaneggiamento degli intonaci originali).
A nulla sono valse le indagini lungo il medaglione centrale sopra il portale di ingresso per la ricerca di possibili tracce dell'affresco raffigurante il santo titolare, opera di Pierto Antonio Magatti. La pianta dell'edificio è molto semplice: un'aula rettangolare con abside; come avviene solitamente per le chiese che in origine erano sede di confraternite, la chiesa pubblica è divisa dal coro riservato alla confraternita da un'iconostasi in legno (così era anche per la chiesa di Sant'Antonio prima della sistemazione del 1967) che si è conservata. Tutta la chiesa è riccamente decorata di affreschi e stucchi, realizzati nel corso del Seicento e restaurati nel maggio 1992. La volta dell'aula, a lacunari, fu affrescata dal pittore varesino Giovan Battista del Sole (1658): sono settantadue angeli musici e cantori; sulla parete sinistra Antonio Rancati (seconda metà del sec. XVII) affrescò le storie di Adamo ed Eva: Adamo in preghiera, La cacciata dal Paradiso terrestre e Adamo dormiente fanno da cornice ad Adamo e il Padre nel Paradiso terrestre; gli affreschi sono separati da cornici di stucco dorato. Gli stemmi collocati alla base degli affreschi appartengono a due famiglie varesine, gli Alemagna e i Martignoni. Sulla parete destra i piccoli affreschi Adamo, Il peccato originale, Eva sovrastano il grande I progenitori nello stato di innocenza. Il Rancati, apprezzabile per la cura con cui rende i particolari, soprattutto degli animali, è autore anche dei dipinti della parte inferiore della controfacciata sulla quale spiccano due statue in terracotta: San Tommaso (a sinistra) e San Bonaventura (a destra); queste e le altre statue in terracotta sono da datare agli inizi del sec. XVII ma non si riesce, allo stato attuale degli studi, a riconoscerne l'autore. Sopra all'ingresso gli affreschi Il Creatore e Il Trono divino circondato da angeli (scuola lombarda, sec. XVII). Sulla parete sinistra troviamo altre due statue in terracotta raffiguranti San Giovanni Apostolo e il re Davide e su quella destra, Sant'Andrea e San Giobbe. Sul lato sinistro, vicino al presbiterio, trova collocazione anche un olio su tela, San Giuseppe col Bambino, attribuito alla scuola di Giudo Reni (Bologna 1575-1642) e datato alla seconda metà del sec. XVII. Al di là della balaustra in marmo policromo si trova il presbiterio. Sulla volta, di scuola lombarda e datati tra il 1650 e il 1653, gli affreschi con la Cacciata di Eliodoro dal Tempio, Elia trasportato in cielo sul carro di fuoco e La regina Attalia ordina lo sterminio della stirpe regale. Ai lati dell'altare, spiccano i due pulpiti in legno intagliato sorretti da due telamoni, in legno dipinto (sec. XVII). Sull'altare, pregevoli intagli in legno attribuiti a Bernardino Castelli (Velate, 1646-1725): la parte frontale del tabernacolo e le sette formelle sottostanti (legno intagliato e parzialmente dorato) con le storie della Vergine (da sinistra: l'Immacolata, L'incontro tra Anna e Gioacchino, la Presentazione al Tempio, la Nascita della Vergine, lo Sposalizio della Vergine, l'Annuncio a Gioacchino e, forse, Gioacchino di ritorno a Gerusalemme) il tutto databile, dai documenti, al 1702. Alle spalle dell'altare, si colloca l'iconostasi in legno intagliato a traforo con motivi geometrici e antropomorfi; sulla fascia, in caratteri dorati, la scritta ET IPSA CONTERET CAPUT TUUM (Gen.3 Ed ella ti schiaccerà il capo) in riferimento alla statua dell'Immacolata posta al di sopra dell'iconostasi, in legno dipinto e dorato e affiancata da due angeli musicanti (intorno al 1617 - statue restaurate nel 1995).
Ai lati del gruppo ligneo, si trovano due tavole dipinte a tempera ritoccata ad olio, raffiguranti due coppie di angioletti recanti una corona fiorita (sec. XVII). Nel novembre 2003, le parti lignee della zona dell'altare sono state soggette a un intervento di restauro che si è incentrato soprattutto su un'attenta e accurata operazione di pulitura che ha consentito la rimozione di materiali non compatibili usati in interventi precedenti: i risultati sono stati straordinari.
L'asportazione delle pesanti ridipinture ha fatto emergere una pregevole e curatissima policromia che ha confermato la raffinatezza della manifattura dell'intaglio oltre allo splendore delle formelle del gradino ligneo della mensa. Durante questi lavori, in accordo con la Soprintendanza e la Direzione dei lavori, si è giunti alla decisione di asportare la mensa esistente per consentire all'officiante di celebrare Messa secondo le norme liturgiche vigenti dal 1965 e disporre così di una nuova funzionalità liturgica.
Il nuovo altare, i portacandele e l'ambone, che ben si armonizzano con il contesto esistente, sono opera dello scultore Angelo Maineri; realizzati con una fusione in bronzo poi cesellato e patinato, riproducono in modo realistico un albero di vite, ricco di simbologia per la fede cristiana. Oltre l'iconostasi c'è il coro; i ventisette pregevoli stalli in legno intagliato furono iniziati nel 1611 ma finiti, o rimaneggiati nel sec. XVIII.
Le pareti del coro furono affrescate da Giovan Battista Ronchelli (Cabiaglio, 1615-1788) con le storie di San Giuseppe (a sinistra: il Sogno di San Giuseppe, lo Sposalizio della Vergine e la Sacra Famiglia; a destra: la Fuga in Egitto e la Morte di San Giuseppe).
Nella parete centrale, tra le due statue in stucco bianco e dorato di San Giuseppe e San Gioacchino, una tela raffigurante l'Immacolata Concezione (1619 circa) attribuita a Giulio Cesare Procaccini.
La volta del coro fu affrescata da Melchiorre Gherardini detto il Ceranino (Milano 1607-1675) con Ester e Assuero, la Lotta tra Angeli e Demoni e Soldato al cospetto di due reali (scena non meglio identificata). Al Ceranino è da attribuire anche l'affresco degli intradossi degli archi del coro e del presbiterio raffiguranti angioletti recanti oggetti liturgici e strumenti del lavoro artistico. Nella volta del coro, al di sopra della tela dell'Immacolata, si trova lo stemma della Confraternita della Beata Concezione e del Gonfalone realizzato in stucco bianco e dorato (sec.XVII-XVIII).
La chiesa di San Martino viene citata per la prima volta, come già esistente, in un documento del 1233 in cui un certo Francesco da Fossano cedeva alle monache Umiliate "de Sancti Martini" delle case poste lungo la via Morazzone perché ne facessero la nuova sede del convento che rimaneva separato dalla chiesa da un piccolo appezzamento di terra. Nel corso del 1400 la chiesetta, romanica e più piccola dell'attuale, fu decorata all'esterno con archetti in cotto (se ne vede traccia sul lato di via Dandolo) e in facciata con due affreschi, San Martino e San Cristoforo, ora scomparsi (tracce del secondo furono strappate e poste in Battistero nel restauro degli anni '70).

Fu S.Carlo che nelle sue visite del 1568 e del 1574 ordinò di acquistare la terra che separava il convento dalla chiesa per poter unire i due edifici affinché le monache potessero presenziare alla Messa senza uscire dall'edificio. Il convento si addossò alla chiesa sui lati nord (dove ora sono i palazzi moderni ) e sul lato est (dietro l'altare). In questa occasione la cronaca Tatto dice che si "sgrandì" la chiesa; il tetto fu alzato a livello attuale e si aprirono i finestroni; sul lato nord, a fianco della sacrestia (ben più grande dell'attuale) fu aperta una porta, detta comunichino, attraverso cui le suore ricevevano la comunione; si costruì l'altare attuale in marmo nero e colorato con i due reliquiari a fianco e, dietro di esso, separato dalla chiesa da un muro e da una grata, un piccolo oratorio per le suore (ora distrutto dalla casa che si è addossata alla chiesa su quel lato).Nel 1600 fu terminato il campanile (di cui oggi non rimane traccia) e vi si pose una campana fusa e benedetta in San Vittore.

Nel corso del XVII secolo il monastero crebbe di importanza; vi si trovano, come suore, ragazze delle famiglie varesine più in vista che arricchiscono il convento con le loro doti; nel 1774 il convento ospitava 58 sorelle (era il convento più numeroso della città). E' nel 1722/23 che la chiesa fu decorata come noi oggi possiamo ammirare; alla sua decorazione lavorarono i principali artisti varesini del tempo: nel 1722 i fratelli Giacomo e Antonio Francesco Giovannini (attivi a Varese tra il 1717 e il 1735) affrescarono le architetture illusionistiche in cui erano specializzati: notevole quella dipinta sulla volta del presbiterio; Giovanni Antonio Speroni - che era anche il capomastro dei lavori - realizzò gli stucchi; il Magatti dipinse la volta con la Gloria di San Martino, la cappella della monache (ora distrutta); nel presbiterio affrescò i quattro angeli che reggono in mano i simboli della Messa: turibolo, incensiere, messale e brocca (ora quasi scomparsi) e, nei pennacchi della volta, quattro affreschi monocromi con scene della vita di San Martino (S.Martino soldato fa l'elemosina ai poveri; S. Martino resuscita un morto; S. Martino vescovo abbatte gli idoli; S.Martino prega i Santi Pietro e Paolo - questa scena non fa parte della storia del Santo; probabilmente è stata inserita per una devozione personale dei donatori dell'affresco -). La Gloria di San Martino è una delle prove migliori del Magatti: la composizione si snoda in quattro gruppi di figure: quello principale è formato da S.Martino, in abiti vescovili, che protende una mano al cielo; ci sono poi tre gruppi di angeli: uno con strumenti musicali (si notano un organo a canne e un'arpa), uno con i simboli della vita da soldato (scudo, elmo) e uno con i simboli della vita sacerdotale (pianeta e messale).

Nel 1723 Francesco Maria Bianchi, figlio di quel Salvatore Bianchi che affrescò l'abside di S.Vittore, dipinse i quadroni sui lati della navata: il Martirio di San Bartolomeo (lato sinistro) e il Martirio di San Lorenzo (lato destro). Le monache furono così soddisfatte del lavoro che sulla controfacciata, sopra il portale di ingresso, all'interno di motivi architettonici prospettico-illusionistici, fecero dipingere la scritta "Christum Martinus utrumque virgines sponsae spolio suo exornarunt - 1723" (Martino rivestì Cristo e vergini spose adornarono l'uno e l'altro a proprie spese - 1723. Parte della scritta è ora scomparsa). Nel presbiterio si apre la porta di quanto rimane della sacrestia originaria, incorniciata da un affresco con architetture a tromp l'oeil e una scena, monocroma, di un Santo (forse San Martino) in estasi davanti alla Vergine. All'interno della sacrestia sopravvive, dell'antica decorazione, un piccolo affresco con fiori e foglie e un cartiglio con la scritta "Benefecit sacrario ut a sacrdotibus retribueretur. 12 novembre 1722" (Beneficò la chiesa così da avere ricompensa dai sacerdoti), recuperati dal recente restauro. Nel 1798 durante la Repubblica Cisalpina, il convento fu chiuso, le monache sciolte dai loro voti e allontanate; le proprietà del convento furono vendute al conte Vincenzo Dandolo che, sul terreno del giardino, fece costruire dal Pollak una villa, Villa Selene (attuale seconda metà di via Morazzone); gli edifici del convento furono prima trasformati in abitazioni e infine demoliti. La chiesa, sopravvissuta alla soppressione del convento, venne utilizzata prima come deposito militare poi come fienile. Nel 1855, un incendio scoppiato per il fieno provocò gravi danni agli affreschi, danni che furono riparati nel 1858 con un restauro promosso dal Prevosto Crespi e la chiesa tornò al culto.

Un nuovo restauro fu promosso nel 1932 dal canonico Don Tognola e infine l'ultimo, del 1969/70 che adeguò l'edificio alle nuove norme emanate dal Concilio Vaticano II. La balaustra che separava l'aula dal presbiterio fu tolta e riutilizzata come base per la mensa attuale. Si tolse dal pavimento del presbiterio la lastra tombale della famiglia Orrigoni (ora murata in sacrestia), antica famiglia varesina che aveva il patronato sulla chiesa (in facciata, in cima alle lesene in pietra grigia che incorniciano il portale, è scolpito lo stemma della famiglia "di rosso alla pianta di quercia d'oro, sradicata e fruttata d'oro") e la chiesa fu adornata da nuove opere di artisti moderni: la pala d'altare con S. Martino che dona il mantello al povero è del pittore Silvio Consadori (1909/1994); le formelle che fanno da porta agli ex reliquiari (a sinistra: San Martino insegna; a destra: San Martino celebra) e l'alto rilievo sotto la pala (scene della vita di S.Martino), tutti in bronzo dorato, sono dello scultore Virginio Ciminaghi; il leggio e la cattedra con i simboli degli evangelisti sono di Mario Rudelli e il Crocefisso e i candelieri sono di Enrico Manfrini. Tutte queste opere sono state eseguite nel 1969 come risulta dai documenti originali depositati presso gli Uffici Parrocchiali.
La storia dell'attuale Biblioteca Prepositurale di San Vittore si riassume in poche righe. Le tracce documentarie non consentono di supporre, nella storia passata, la presenza di una biblioteca come istituzione definita, benché l'importanza sempre rivestita dalla Basilica, testimoniata anche dalla presenza di un Capitolo di canonici legato ad essa, rendano plausibile l'esistenza di un cospicuo numero di volumi necessari per la celebrazione delle funzioni religiose e a disposizione dei canonici. A ciò si aggiunge la probabilità che siano confluiti in essa i volumi di proprietà delle confraternite religiose presenti a Varese e soppresse da Giuseppe II d'Austria negli anni 1784-86, ma, ed è l'unica certezza fra tante ipotesi per quanto probabili, la quasi totalità di questo patrimonio librario è andato disperso ai tempi della napoleonica Campagna d'Italia. Oggi le tracce degli antichi volumi sono quanto mai frammentarie; dell'esistenza di una Bibbia manoscritta del sec. XII, attualmente conservata in un'abbazia francese e appartenuta al Capitolo, si sono trovate indicazioni nelle pergamene dell'Archivio Prepositurale. L'attuale patrimonio librario (comprendente anche due piccoli antifonari manoscritti, alcuni incunaboli e cinquecentine) si è costituito attraverso donazioni di privati o lasciti del clero passato dalla Basilica ed ammonta a circa 3.500 volumi tra antichi e moderni. Tra questi segnaliamo volumi d'arte o storia editi da Istituti Bancari, riproduzioni in fac-simile di diverse opere antiche, messali e benedizionali di varie epoche, la raccolta degli scritti dei papi Pio XII, Paolo VI (di cui si conservano anche dei volumi con l'ex libris), Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e svariate edizioni della Bibbia oltre a stampe di vari artisti, testi di esegesi, teologia e vita dei santi. Il patrimonio librario è consultabile presso la nuova sede della Biblioteca Prepositurale in Piazza Canonica n.11, previo appuntamento, telefonando agli Uffici Parrocchiali il mercoledì mattina dalle ore 9.30 alle ore 12.00 o contattando direttamente la persona incaricata al seguente indirizzo e-mail: archivio@basvit.it
L'Archivio Prepositurale della Basilica di San Vittore possiede la più antica e ricca documentazione sulla storia del territorio varesino. Il suo stato attuale è il risultato di numerosi e vari apporti lungo un'esistenza più che millenaria. Alla sua formazione ha contribuito innanzitutto il Capitolo e comprende una sezione cartacea e una sezione pergamenacea. La sezione cartacea, che conta circa 1000 fascicoli, conserva documenti a partire dalla fine del XV secolo; alla sua formazione hanno contribuito il Capitolo, la Fabbrica e le confraternite, le cui carte sono estremamente interessanti per la documentazione delle vicende artistiche di San Vittore e delle sue chiese sussidiarie. La sezione pergamenacea consta di un migliaio di pergamene che vanno dalla fine del IX secolo al XVIII; appartengono quasi tutte all'archivio del Capitolo. Pur avendo subito depauperamenti, il fondo resta uno dei più importanti della Diocesi ambrosiana. Le pergamene vennero registrate e inventariate dai canonici Comolli nel 1723; il loro regesto costituì la base dell'inventario redatto nel 1948 da mons. Luigi Lanella, il cui ordinamento archivistico venne ripreso da Giuseppe Scrazzini nel 1970. In questi ultimi anni il fondo pergamenaceo è stato studiato con cura dalla paleografa Luisa Zagni la quale ha pubblicato in due volumi le pergamene dall'899 al 1260 e ha curato la stesura di un terzo volume, portato a termine dalla prof. Baroni. Le principali sezioni dell'Archivio sono: Anagrafe e status animarum: i libri anagrafici iniziano con il 1559 per i battesimi, con il 1566 per i matrimoni, con il 1636 per i defunti. Di notevole interesse è la raccolta dei processi di stato libero matrimoniale che, pur con qualche lacuna, inizia nel 1627. Autorità civili: il fondo presenta documenti di varia natura: vi si conservano numerose circolari a stampa dell'Amministrazione generale di Lombardia, della Repubblica Cisalpina, della Repubblica Italiana e del Cantone di Lugano. In particolare, il fascicolo 522 riguarda le conseguenze avute sull'associazionismo cattolico dai tragici fatti del 1898. Capitolo: è uno dei fondi più cospicui dell'Archivio, riguardando le vicende del Capitolo dal XVI secolo alla sua soppressione avvenuta nel 1798. Uno dei primi documenti cartacei è costituiti dagli Statuti del 1410, in una copia del 1462. Chiese sussidiarie: raccoglie documentazione sulle chiese sussidiarie della parrocchia (Sant'Antonio, San Giuseppe, San Martino) dal loro passaggio dagli originali enti possessori alla parrocchia. Di particolare interesse sono i fascicoli relativi ai restauri di San Giuseppe, San Vittore, San Martino. Interessanti, inoltre, sono le sezioni dedicate alle Confraternite, alla Fabbrica-Fabbriceria-Musica, Legati, Oratorio, Organizzazioni cattoliche, Ospedale, Religiosi, Visite pastorali e vicariali, Fotografica; una sezione raccoglie le tesi di laurea elaborate con materiale dell'Archivio. L'Archivio è consultabile presso la nuova sede in Piazza Canonica, previo appuntamento, telefonando agli Uffici Parrocchiali il mercoledì mattina dalle ore 9.30 alle ore 12.00 o contattando direttamente la persona incaricata al seguente indirizzo e-mail: archivio@basvit.it

 

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